martedì 15 luglio 2014

MY TIN APPLE - THE CROW'S LULLABY


Ogni canzone ha lo scopo di raccontarci una storia. Alcuni generi, in particolar modo l'Epic e il Power Metal, cercano di fare di ogni propria canzone una piccola saga epica, un po' alla ricerca di una continuità con la grande musica classica alla quale, come è noto, spesso si rifanno, e un po' per il loro rapporto privilegiato con tematiche legate alla letteratura fantasy, romantica e gotica. Assai più raro è invece trovare un gruppo che prova a fare di ogni suo pezzo una piccola favola. La ragione probabilmente risiede nella complessità di concentrare in pochi minuti, relativamente poche parole e, soprattutto, coniugare il tutto alla musica e alle peculiarità di più musicisti, uno strumento di narrazione, la favola, che si perde nella notte dei tempi. Più antica della scrittura stessa, la favola presenta una profondità spesso molto più difficile da cogliere di quello che può sembrare ad un primo e disattento sguardo. Le favole sono le attrici della tragedia greca nella narrazione: il loro scopo, e volto, legato a temi ancestrali ed intimi della natura umana, è celato dalla maschera di un intreccio apparentemente semplice, quasi banale. I ragazzi dei My Tin Apple, col loro album “The Crow's Lullaby”, provano a tramutare questa particolare difficoltà in un mezzo per poter esprimere qualcosa d'innovativo. Ogni loro pezzo si presenta come una breve favola postmoderna, dove convivono scenari onirici con morali legate a una realtà deprimente e cinica. Alla ricerca di un costante equilibrio tra queste due componenti contrapposte, in un lavoro di dissimulazioni che ben si presta al carattere della favola, i My Tin Apple (che da qui abbrevieremo in MTA) hanno cercato di dar vita a un suono proprio, da loro indicato come “tin rock; un sound sperimentale alla cui principale componente Prog Rock  si aggiungono sonorità Metal e, soprattutto, distorsioni e suoni elettronici ottenuti grazie al sintetizzatore suonato da Massimiano Cecchi. I temi trattati dai testi per mezzo della favola presentano una certa varietà ed originalità (da segnalare in particolare i due pezzi “The Flight of Cameleon” and “Pixel”). A suscitare qualche perplessità sotto questo aspetto è, invece, la prima traccia che fa da introduzione e da titolo all'album, “The Crow's Lullaby” (la ninna nanna del corvo): un pezzo completamente a cappella, cantato da una voce femminile con tonalità che riecheggiano atmosfere orientali. La performance in sé è convincente, ma per quanto ci si possa sforzare a venire incontro alle intenzioni dei MTA, viene difficile associarlo sia a una ninna nanna, sia a un corvo. Ciò può apparire come un dettaglio, ma occorre ricordare quanto sia fondamentale nelle intenzioni di questo album accompagnare l'ascoltatore verso gli scenari onirici immaginati dai MTA alla ricerca di ciò che si definisce come “sospensione dell'incredulità”, ossia la capacità dell'artista di trasportare la mente di chi fruisce della sua arte verso il mondo da lui immaginato. Una volta cominciato l'album vero e proprio con la seconda traccia, “Snow White”, fortunatamente l'esecuzione musicale comincia  a prestarsi alle tematiche ricercate dai MTA. La voce di Gianluca Gabriele col suo tono efebico, spesso sussurrato, nonostante un inizio incerto dove non sembra riuscire a seguire il resto del gruppo, svolge abbastanza bene il compito di accompagnare l'ascoltatore nel mondo dell'assurdo ritratto dalla canzone, dove “le lumache si spostano veloci su sfere volanti”. Purtroppo, nel corso delle altre undici canzoni, le tonalità della voce non sembrano voler mutare, neanche laddove ci sarebbe bisogno di un timbro decisamente diverso. Il risultato nel complesso è comunque discreto e i testi si prestano bene alla voce pulita da giovane bardo di Gianluca, che però avrebbe potuto provare a recitarli meglio, osando un po' di più laddove ce ne sarebbe stato più bisogno. A livello strumentale la parte principale, e migliore, del lavoro, è svolta dal sintetizzatore e dai suoi echi e rimbombi. Da questi suoni segue il ritmo di tutti gli altri strumenti, soprattutto la batteria che lavora molto bene con le linee tracciate dal sintetizzatore. Solo basso, purtroppo, sembra venir messo n disparte Il risultato, durante queste parentesi di contaminazione tra acustica ed elettronica, è un suono bizzarro, ma affascinante, soprattutto nelle tracce “Sequoia” e “Dalì”. Purtroppo però le parti squisitamente acustiche e, soprattutto, quelle più vicine a sonorità metal, non possiedono la stessa forza d'attrazione rispetto alle parti dove è presente il sintetizzatore. I MTA sono tecnicamente capaci. Tuttavia appare, nelle parti esclusivamente acustiche, che nel cercare di voler mostrare le proprie virtù con i propri strumenti, finiscano per sacrificare l'originalità mostrata nelle parti più sperimentali, oltre che “ignorare” le tematiche che si vogliono esprimere in nome di un suono certamente pulito ma, in questo caso, purtroppo non molto originale. In più punti dell'album capita di sentire un riff di chitarra tipicamente metal, quasi epic, magari godibile se preso a parte, ma del tutto alieno rispetto al resto della canzone. Nel complesso l'album sembra perciò far capolino da una parte all'altra di due anime, quella “contaminata” dominata dal sintetizzatore e quella esclusivamente acustica, senza che queste riescano a venire davvero in contatto tra di loro. La parte “contaminata” magari non incontrerà il favore dei puristi del genere, ma dimostra una spiccata personalità e, soprattutto, è in linea con lo stile e quella ricerca di originalità rincorsa dai MTA, nonché rappresenta al meglio le favole postmoderne presenti nelle canzoni. Quella prettamente acustica è, invece, un ascolto piacevole ma che non lascia il segno, quasi un intramezzo dimenticabile ogni volta che il sintetizzatore è in silenzio. Nel complesso il lavoro dei MTA presenta diversi spunti molto interessanti. Tuttavia i loro ambiziosi propositi innovativi sono in parte disattesi da tanti, troppi punti, dove ha spazio un suono regolare, pulito ma privo della verve che invece riescono a mostrare nelle parti più sperimentali. In futuro, potrebbero considerare di puntare ancora di più sulle sperimentazioni, lasciando sonorità magari più note e “sicure” per l'ascoltatore di riferimento, e facendo posto ad altri suoni e, perché no, altri e nuovi strumenti, considerato l'apporto decisamente positivo del sintetizzatore. Allo stato attuale, della mela di stagno si è avuto solo qualche morso, che non forse non renderà del tutto sazi, ma fa desiderare di poterla gustare per intero nel prossimo futuro.

VOTO: 7/10
-Ged-



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